Guardano compiaciuti il gommone appeso alla gru di alaggio, più bello che mai una volta posato in acqua con in vista i tanti particolari inusuali e la strumentazione quasi intimidente.
Lo avevano ordinato due anni prima ad una ditta artigiana del napoletano specializzata una volta nella costruzione dei famosi motoscafi blu, quelli velocissimi usati dai contrabbandieri di sigarette.
Personalizzato in tutto per le loro esigenze di subacquei poco propensi ai compromessi, lungo 8 metri e mezzo, monta una coppia di fuoribordo da 250 cavalli a quattro tempi bianchi eleganti con le lucide eliche speciali d’acciaio, due optional tutt’altro che regalati. Prima avevano gommoni di serie sui 6 metri col 150 Hp, si erano conosciuti in mare e per un paio di stagioni erano usciti sempre in coppia, poi la decisione e l’acquisto in società.
Adesso si avvicina il momento meno gradevole della giornata, occorre fare il pieno ai due insaziabili serbatoi che per indicare “full” sullo strumento esigono 550 litri di benzina. Se va tutto bene bastano si e no per tre giornate di navigazione e ricerca.
Intanto sono arrivati gli amici, un caffè al bar e poi al lavoro per caricare le attrezzature. Dalla Range e dal vano generoso della V90 passano in barca per primi i quattro rebreathers, accolti nelle nicchie studiate appositamente. Li seguono gli scooter corti e snelli sistemati in verticale come le bombole di bail-out, poi il cestello con le zavorre di pochi chili, le attrezzatture fotografiche, i borsoni soliti. Ogni cosa ha un posto preciso, sicuro con qualsiasi tempo.
Fissati i punti sul Gps escono all’orario previsto. Il mare è buono, viaggiando sui 30 nodi occorrono una ventina di minuti per arrivare all’isola per poi toccare il primo way-point impostato sullo strumento, corrispondente a una piccola secca. Superano il gommone di un diving, una dozzina di sub in muta nera sono seduti gomito a gomito traballanti sui tubolari, sembrano migranti.
Cambio di rotta e via diretti doppiando la punta estrema dell’isola verso la cigliata dei 30 metri con caduta intorno ai 45, ben nota da quando anni prima la frequentavano col bibombola 12+12 e il 7 litri d’alluminio al fianco. Ecco l’avviso del secondo way-point, chiede una deviazione di alcuni gradi verso ponente. La zona d‘immersione è stata decisa dopo un attento studio delle carte nautiche della Marina e di quelle da pesca ed è ormai vicina. I motori adesso girano silenziosi al minimo, gli occhi sono puntati sulla carta nautica riportata sul tablet, quindi sul grande display a colori dell’ecoscandaglio che mostra profondità e profilo del fondale. Cercano l’inizio della seconda orlata, la batimetria sulla carta indicava un suo andamento costante sui -50 con caduta a brevi gradini intorno ai 70, dove un pianoro in lieve pendenza precipita parecchio oltre a quote proibite. Un range di profondità ideale per godere al meglio delle potenzialità e dei vantaggi dei loro rebreathers a circuito chiuso a controllo elettronico. Sul display si evidenzia la parete di roccia che va a morire sul fondale piatto, è il momento di passare dal trasduttore wide a bassa frequenza all’altro ad alta frequenza col suo cono d’onde molto stretto. Ora i dettagli sono bene evidenziati, quello che pare un sottile torrione di roccia è memorizzato come punto d’inizio dell’immersione.
L’attenta pianificazione prevede un tempo di fondo di 25 minuti ad una quota massima di 70 metri. L’immersione di oggi è dedicata all’esplorazione con gli scooter, domani saranno solo foto e filmati con le macchine scafandrate. I primi due sono quasi pronti, hanno indossato le stagne con il bombolino da 1 litro dell’argon ed ora fanno gli ultimi controlli prima di mettersi sulle spalle i rebreathers.
Sono apparecchi molto compatti, scelti tra i modelli “mini” proposti dai vari fabbricanti. Hanno un filtro per la CO2 da tre ore e due bombole da 3 litri per ossigeno e diluente, in questo caso Trimix 10/70, il tutto largamente sufficiente per le loro esigenze che escludono profondità e tempi troppo gravosi. Infatti, pur avendo il brevetto che li abilita ai 100 metri, hanno scelto di non superare mai gli 80 proprio per non rendere le escursioni eccessivamente impegnative. Per il bail-out sono pronte da agganciare al fianco due 12 litri, una col 15/50 e l’altra con l’Ean 50.
Fissati agli avanbracci hanno i cosiddetti pendenti, ossia lo strumento principale ed il secondario per il settaggio e controllo dell’elettronica dell’apparecchio. L’Hud (Head-up display) posto a lato del boccaglio fa da spia con i suoi led colorati al regolare funzionamento del sistema, mentre l’appariscente e a volte discusso Bov in tutt’uno col boccaglio consente un passaggio immediato al circuito aperto in caso di guai. Sul polso sinistro il computer multimiscele settato su un algoritmo decompressivo per Ccr dètta i parametri dell’immersione.
Si calano in acqua silenziosamente, pochi secondi per agganciarsi le bombole al fianco e fissare all’anello centrale la bretella degli scooter dipinti di rosso scuro, accendono le Go-Pro fissate davanti e via. In tre minuti arrivano proprio dove ha inizio la caduta, scendono ancora e si avviano poco discosti dalla parete restando a cavallo dei -60.
Si guardano intorno nel turchino che tanto piaceva al romantico Maiorca, a sinistra la parete è
priva di vita e interesse, il fondale piatto appare nero. L’unica forma di vita è un vistoso mollusco che avanza lento come un carrarmato, un Umbraculum mediterraneum di 25 centimetri di diametro, fuori standard sia per dimensioni che per profondità.
Poco più avanti si intravvede qualcos’altro, una sparsa di una decina di anfore distanziate, alcune rotte. È la sicura testimonianza di un naufragio vecchio forse di 2000 anni, probabilmente un’oneraria romana che ha perso parte del carico mentre affondava e il cui relitto sarà forse finito oltre il salto successivo, a 200-250 metri. In ogni caso merita dedicarci un’immersione, per cui lanciano uno dei pedagni da fondo colorati in giallo fluorescente, sale visibilissimo a indicare in superficie il punto esatto in cui tornare, subito immortalato sul Gps.
Accendono per qualche secondo i potenti fari a led freddi, si colorano soltanto alcune spugne e piccole gorgonie. Proseguono veloci per diversi minuti poi, percorsi circa 600 metri, si trovano di fronte un incombente sperone di roccia. Lo aggirano e il panorama cambia completamente.
Un’ampia conca presenta uno spettacolo incredibile che ha per sfondo un vero e proprio bosco di gorgonie, subito rosso sgargiante quando lo solcano i fasci dei fari. Qua e là macchie multicolori di Paramuricea chamaleon e parecchio più in alto, visibilissimo, un doppio ramo di Gerardia savaglia. Da uno spigolo di roccia a strapiombo sembrano pendere come un grappolo una decina di grosse pezzogne in gruppo verticale, pure queste apparentemente fuori posto dato che il loro habitat solito è oltre i -100. In questo anfiteatro lambìto da correnti incrociate sembra non mancare nulla, nel silenzio dei rebreathers si sentono chiaramente i battiti e crepitii delle antenne di alcune aragoste che si sporgono dalle loro tane scambiandosi messaggi. Nel limpido si distinguono in alto i contorni frastagliati del bosco di gorgonie che termina dove salgono verticali le pareti di roccia. I due sub rimangono qualche istante fermi a guardare, non sono nuovi a spettacoli del genere eppure si sentono emozionati. Potrebbero essere i primi a venire quaggiù.
Lanciano il secondo dei loro pedagni in corrispondenza di una grottina ricolma di rami sottili di corallo con i polipi espansi, in superficie verrà recuperato come il precedente dopo averne registrato le coordinate. Domani bisogna essere sicuri di scendere esattamente in questo punto, non ci saranno gli scooter ma solo gli obiettivi.
Luigi Fabbri